Marketing shakerato o ritorno alle origini?
Ricetta per una riuscita strategia di marketing:
Prendi un prodotto di largo consumo, coloralo e rendilo vistoso e sgargiante, aggiungi un prezzo accessibile a chiunque e, per finire, consegnalo alla grande distribuzione, ma facendo attenzione a renderne la disponibilità limitata e finita. Non dimenticare di shakerare bene!
A volte bastano pochi passaggi, ben fatti, per riprodurre quel mix di tecniche di marketing e neuromarketing, analisi critica, incrocio di dati, che porta a un risultato vincente.
Il caso Lidl
Benché durante lo scorso lockdown pare essere esplosa la dedizione al podismo, in questi giorni ci stiamo chiedendo che cosa abbia spinto plotoni di persone a volersi accaparrare le famigerate Scarpe della Lidl.
La nota catena ha infatti messo in vendita, in edizione limitata, un modello di sneakers con i colori del proprio logo. File alle casse e persino fuori dai punti vendita, tam tam mediatico sul web e un clamoroso fenomeno di rivendita online.
Osserviamo quali sono gli ingredienti che hanno reso possibile il passaggio da prodotto cheap a oggetto del desiderio.
“Prezzi bassi, marketing della scarsità e una linea al passo con le tendenze della moda” sono i tre fattori che, nella visione del professor Edoardo Sabbadin, hanno determinato il successo dei prodotti in questione. Vediamoli nel dettaglio.
Prezzi bassi e marketing della scarsità
Lidl ha applicato ad alcuni specifici articoli (scarpe, ma anche calzini e t-shirt) quella stessa strategia che adotta ciclicamente per varie categorie di prodotto che propone a prezzi bassi nei propri store solo per un periodo limitato, creando nel cliente urgenza di acquisto.
Restando fedele a questa linea operativa, l’azienda è riuscita a trasformare un banale oggetto dal prezzo accessibile a chiunque (12,99€) in un trofeo dall’altissima desiderabilità. Lo ha fatto intervenendo innanzitutto sulla quantità, ovvero offrendo ai potenziali acquirenti una tiratura limitata di articoli e rendendoli disponibili solamente per un periodo circoscritto (anche se, come abbiamo visto, non c’è stato bisogno di far terminare l’offerta). La scarsità è stata sfruttata come promessa di esclusività.
Una dinamica di marketing, questa, che si rifà al cosiddetto fast fashion (l’abbiamo vista adottare da catene come H&M, spesso in collaborazione con brand di lusso, o anche nel settore make-up, dove ormai edizioni limitate e capsule collection la fanno da padrone).
Quale peculiarità, però, fa di un normale prodotto in offerta un vero e proprio fenomeno di massa?
Come il brutto anatroccolo: da brutto a desiderato
Se è vero che “Il desiderio è l’esperienza della mancanza” – come afferma Platonenel Simposio – ecco spiegato come anche qualcosa non propriamente bello e di alta qualità possa diventare oggetto di desiderio.
Non si tratta certo del primo caso in cui a diventare di moda è un capo di dubbio gusto. Il settore del fashion vede già da qualche anno l’insorgenza di prodotti venduti a caro prezzo dalle griffe e divenuti popolari non per particolare valore estetico, quanto perché, al contrario, scardinano il paradigma comune di ciò che può considerarsi bello e degno dell’alta moda. Un caso tra tutti è stato quello delle magliette che riportano il logo di un noto corriere, proposte da Vetements nel 2016 a un costo tutt’altro che irrisorio, ma andate a ruba.
Le sneakers stesse nell’ultimo periodo hanno subito una vera e propria ascesa e sono state sdoganate al di là del loro utilizzo pratico: basti pensare che poco più di una decina di anni fa saremmo inorridite al pensiero di indossarle con gonne e vestiti. Il trash che diventa moda – il riuscire a far diventare cool ciò che non si sarebbe mai pensato lo potesse essere – porta con sé una sorta di citazionismo pop e ricorda in qualche modo la “Merda d’artista” di Piero Manzoni e le provocazioni dell’epoca.
C’è di più.
Sono molti i marchi, i cosiddetti brand di lusso, per i quali alcune persone si ritengono disposte a pagare oltre la qualità corrisposta. Acquistando una firma, infatti, non compriamo (a caro prezzo) soltanto l’oggetto, ma anche l’appartenenza a un’élite e il riconoscimento sociale di ciò.
Comprare low cost e non griffato è comunque uno status symbol. Addirittura è emblema ormai anche di una fetta di quella società dell’apparenza che trova la propria manifestazione più spiccata su alcuni social – primo su tutti Instagram – e che inizialmente, invece, basava il suo successo prettamente attraverso la catalizzazione dell’attenzione su capi e beni di lusso.
Ma se un tempo le persone volevano proiettarsi in un mondo non sempre alla loro portata, oggi forse vanno cercando una maggiore identificazione.
Rispetto a qualche anno fa – quando cercavamo di emulare i vip con prodotti griffati cercando la copia il più simile possibile (nei limiti della legalità) – si è avuta un’inversione di tendenza. Persino nel dorato mondo di star e influencer oggi, talvolta, sfoggiare il low cost è un atto di moda. È far vedere che si è sullo stesso piano di chi ci sta guardando, è marketing.
La community di consumo che ha comprato le scarpe Lidl è probabilmente frutto di una società che anziché cercare un’identificazione elitaria, si riconosce nel voler essere accettata proprio in quanto le sue persone sono accomunate dall’essere comuni (e non a caso fanno spesa in un discount). È proprio la normalità ad essere diventata – paradossalmente – un “fenomeno di costume”.
Il fenomeno del reselling
C’è poi anche chi ha sfruttato il fenomeno come strumento di speculazione, acquistando le scarpe per poi rivenderle online a cifre più che maggiorate.
Non è la prima volta che il fenomeno del reselling online fa la propria apparizione in seguito al lancio di articoli in edizione limitata.
Si tratta quindi di un comprare acritico, di senso di appartenzenza, di speculazione, o anche di bisogno di apparenza – in relazione a quanto detto sul brutto che diventa moda – in cambio di pochi spicci?
Il presidio social
Non possiamo avere una risposta certa, ma quello che è sicuro è che Lidl è riuscita perfettamente a inserire un proprio prodotto, appositamente brandizzato a mo’ di merchandising, nella dinamica del creare al cliente l’idea di ciò che vuole per poi fornirglielo.
Già durante la scorsa estate, in Germania, erano state proposte le ormai famose scarpe. In quell’occasione l’azienda aveva creato una sorta di gioco a premi che consisteva nello scattarsi una foto con le scarpe e condividerla per poter vincere una delle paia in premio. In questo modo un contenuto di per sé inconsueto è diventato popolare: ne ha guadagnato la brand advocady di Lidl, che inoltre ha avuto un ulteriore strumento di profilazione e fidelizzazione del proprio target.Sono stati così i clienti stessi a potenziare la portata della campagna pubblicitaria attraverso le condivisioni e le interazioni sui social. L’atipicità del fenomeno e il dubbio gusto del prodotto non hanno fatto altro che incrementare la viralità.
Il presidio dei social è stato la chiave di volta di una strategia già ben strutturata.
Tramite questo strumento l’azienda è riuscita a creare un legame con i propri abituali clienti e con gli interlocutori esterni che la pone in una dinamica di ascolto, di vicinanza con essi. Al contempo i clienti e i potenziali tali trovano riscontro dei propri
valori nel racconto che Lidl fa di se stessa, in modo immediatamente fruibile e accessibile (proprio come lo sono i prodotti che vende).
Ciò è frutto di un lavoro oculato, che ha portato l’azienda a individuare quali potessero essere i profili più adatti da coinvolgere e, di conseguenza, quali i contenuti da proporre affinché l’operazione di marketing riscuotesse il risultato desiderato.
Una semina che Lidl stava portando avanti già da tempo e che ha poi dato i frutti sperati: l’azienda ha saputo migliorare la propria immagine rendendola attuale e in tal modo ha conquistato la fiducia di molti clienti e conta sui social un numero altissimo di follower (Pagina Ig di Lidl Italia: 692mila, Pagina Fb di Lidl Italia: 2,2 milioni).